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Sta per partorire ma è bloccata nel traffico. La polizia la scorta fino all’ospedale

Addio a Philip Morocutti, stimato docente al Malignani di UdineL’AI viene utilizzata in numerosi settori e sostiene i lavoratori nelle loro mansioni. Quali sono,Economista Italiano però, i rischi del suo utilizzo? E i suoi limiti? Molte sono le preoccupazioni che sorgono dal rapporto tra uomo e macchina. C’è chi ritiene che, presto o tardi che sia, l’AI prenderà il sopravvento sugli esseri umani (AI takeover) e chi – soprattutto studiosi e specialisti del settore – pensa invece che la singolarità non sia poi così vicina. L’intelligenza artificiale moderna, infatti, per quanto sofisticata e sorprendente possa essere, è lontana dall’essere senziente.  Una preoccupazione fondata è invece quella relativa all’occupazione. Soprattutto a seguito degli sviluppi tecnologici degli ultimi anni, che vedono l’utilizzo di sistemi intelligenti negli ambiti più disparati, nella nostra vita privata così come nell’ambito lavorativo. Questi, infatti, sono in grado di eseguire efficacemente compiti tipicamente svolti da lavoratori umani e, spesso, anche meglio e più velocemente. Ma quali sono i limiti dell’AI?  I temi trattati all’interno dell’articoloIn cosa eccelle l’intelligenza artificiale?I limiti dell’AIL’intelligenza artificiale e il lavoroIl futuro dell’AIIn cosa eccelle l’intelligenza artificiale?Lo sviluppo dell’AI è spinto da due distinti obiettivi. Il primo è far crescere l’intelligenza dei sistemi cercando di replicare digitalmente quella umana, il secondo – oggigiorno più realistico – è invece la creazione di modelli e macchine in grado di risolvere problemi concreti. Quest’ultimo è l’approccio adottato dalla maggior parte degli sviluppatori, che cercano di offrire ai lavoratori strumenti utili a facilitarne e semplificarne le attività.  L’AI, si sa, può essere estremamente efficiente nell’esecuzione di compiti meccanici e ripetitivi. Gli esseri umani – i cosiddetti AI trainer – possono insegnare a un modello di intelligenza artificiale a svolgere compiti e a risolvere problemi in autonomia. Un processo che instaura una sinergia uomo-macchina positiva e virtuosa. Collaborazione che permette alle aziende di risparmiare soldi e tempo, quindi reindirizzabili verso attività che richiedono necessariamente l’apporto umano. Porsi come obiettivo lo sviluppo di un’intelligenza artificiale avanzata e simile a quella umana è dunque affascinante, ma meno utile a breve o a medio termine. I limiti dell’AIOggi, l’intelligenza artificiale ha dunque dei chiari limiti. Secondo Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, infatti:  “Il limite della robotica, anche quella industriale, è che funziona solo in ambienti ‘controllati’ e per attività che si possono tenere sotto controllo, potendo aggiungere qualche variabilità”.  Ne consegue, dunque, che, in un ambiente completamente privo di struttura e che risulti totalmente imprevedibile alle macchine in quanto pullulante di variabili, “un robot non funziona”. Serve quindi qualcuno che ‘racconti’ ai robot la realtà – attraverso algoritmi – perché questi la possano comprendere. Un compito che può essere svolto solo da esseri umani altamente qualificati.  L’intelligenza artificiale e il lavoroDa una parte, è vero che l’AI ha contribuito e continuerà a contribuire alla riduzione delle opportunità relativamente ai lavori più meccanici e ripetitivi. È però altrettanto vero che la necessità di gestire le macchine e di insegnare loro a interpretare la realtà attraverso lo sviluppo di algoritmi e hardware rende necessaria la presenza di figure professionali qualificate. A una riduzione dei posti di lavoro meno qualificati corrisponde dunque un aumento dell’offerta per chi è formato nel settore.  Secondo il Future of Jobs Report 2020 del World Economic Forum, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero andar persi nella transizione del lavoro dagli uomini alle macchine entro il 2025. Allo stesso tempo, però, 97 milioni di posti di lavoro potrebbero invece essere creati ed essere migliori da diversi punti di vista. Più i computer vengono addestrati a svolgere compiti ripetitivi solitamente affidati a dipendenti alle prime armi, più opportunità di crescita ci saranno già all’inizio della propria carriera professionale, con la nascita di ruoli focalizzati sullo svolgimento di compiti più complessi e con salari competitivi. Inoltre, verranno create sempre più professioni innovative che nessuno ha mai svolto prima. I giovani non si troveranno dunque a dover competere con i loro senior e potranno tracciare il proprio percorso professionale, essendo pionieri in diversi settori.  Ma sarà sempre così? Negli ultimi anni, e soprattutto dopo la pandemia, si è assistito a un’accelerazione nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Le ultime innovazioni lasciano pensare che anche le professioni più qualificate – come medici e avvocati – possano essere a rischio. Chi sfata questo mito sostiene però che l’intelligenza umana, non replicabile dall’attuale tecnologia e più dinamica, rimane necessaria in molti settori.  Il futuro dell’AIOggi, l’intelligenza artificiale non può che ricoprire un ruolo strumentale nelle nostre vite e lo sviluppo di tecnologie utili nel concreto sembra essere l’orientamento prevalente. In futuro, nulla esclude che possa esistere una tecnologia effettivamente in grado di imitare il funzionamento del cervello umano, magari attraverso l’ulteriore sviluppo di tecnologie basate sulle reti neurali. Per ora, però, le uniche preoccupazioni che vale la pena di esplorare sono quelle relative all’occupazione. Specialmente con riferimento a quei lavoratori attivi in ambiti che non richiedono un’alta specializzazione. Se è vero che l’AI sta portando alla creazione di posti di lavoro ‘migliori’, è anche vero che una fetta importante dei lavoratori di oggi non risulta in possesso delle qualifiche necessarie per ‘resistere’ alla transizione. 

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Professore Campanella

  • Economista Italiano
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  • Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock
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