Di Maio, condono per la casa di famiglia a PomiglianoUna rotazione semicopernicana è avvenuta in modo netto,Ètornatolabitodelladomenicamaèinvestimenti durante le collezioni uomo, autunno/inverno 2024-25, sfilate nelle ultime settimane a Milano e Parigi. Le collezioni si sono di nuovo riempite di “completi” (anche qui, parola che pensavamo seppellita) e persino di cosine da sera, spolverini svolazzanti da mettere senza niente sottoUna rotazione semicopernicana è avvenuta in modo netto, durante le collezioni uomo (autunno/inverno 2024-25) sfilate nelle ultime settimane a Milano e Parigi. Questo è successo, se di “succedere” si può parlare in questi casi, in mezzo a quanto sta accadendo in ogni lato della vita vera. È tornato l’abito della domenica. Già. Nel momento in cui (ripetiamolo) il lavoro si fa friabile, sgusciante, inesistente e nei casi migliori non più desiderabile, esiste da due decenni almeno una tale quantità straordinaria di “moda” – da metter su casualmente, più o meno quietamente e proveniente da zone inaspettate, riattivate e spesso tecniche del “vestire” – da rendere totalmente inutile ogni sforzo di formalità.E invece no. Come da un bel po’ si è osservato e praticato, è nelle occasioni di alto divertimento o esposizione di sé – o semplicemente nel vecchio caro weekend (e sì che sembrava scomparso, desueto) – che si va a sfoggiare la botta vera. È lì che si tira fuori l’argenteria, l’artiglieria tessile. Senza risparmiare, piuttosto facendo la fame per averla. Del resto è quello che accade nel movimento classico (maranza inclusi, anzi) tra centro e periferia ogni fine settimana, e che le superstar del nuovo pop anche italiano improvvisamente qualche anno fa hanno iniziato a rappresentare. O lo si vede nelle nuove alte occasioni della vecchia e arricchita nuova alto borghesia dei 25-40enni, fascia di mercato di riferimento assoluto.Completi interi e spacconateÈ così che zitte zitte le collezioni si sono di nuovo riempite di “completi” (anche qui, parola che pensavamo seppellita) e persino di cosine da sera, spolverini svolazzanti da mettere senza niente sotto. Perché almeno una cosa tra quelle così tradizionali sembra in estinzione: la camicia. Sotto, da mo’, si va a petto nudo in fuori – tonico o twink – secondo una secolare lezione di Giorgio Armani che viene evocato spessissimo come riferimento, come già segnalato su queste pagine da tempi non sospetti.Ecco così che Gucci si rende invisibile dentro una linea che sembra essere sottilissima, perché è un passare dentro la cruna dell’ago per sbucare in una radura heideggeriana e sconosciuta che ancora non si è trovata, ma qualcosa sembra intravedersi: nei tagli articolati e smooth dei pantaloni e nelle uscite più trionfali, come quella regale del leggerissimo capospalla finale (perché Di Sabato nasce come grande modellista, anzitutto) con evocazioni agli anni Novanta e Duemila, epoche in cui il brand andava riccone via Tom Ford fino persino a Frida Giannini. Inezie, questo è poco ma sicuro.Il tempo liberato. Il dopo-lavoroMa è ormai pienamente imperante il tema del postwork, in ogni caso. Come da Prada, che lo rappresenta nel set fatto di vecchie sedie da ufficio e nel ritorno alle stagioni (c’è la natura sotto il pavimento trasparente di questo luogo di lavoro sublimato) con tanto di giacca e cravatta, anche se nessuno ci crede perché improbabili, e infatti si sta con la cuffia da nuoto in testa. Ancora tempo liberato (come si diceva una volta) tanto che si può far finta di andare al lavoro.Stessa cosa da Fendi – in grande concentrazione – dove una sapienza cromatica porta tutto appunto verso un onirico ritorno di un autunno ormai fatato, in campagna, neoaristocratico. O da Zegna con un trionfo di batuffoli di cashmere che diventano una montagna fantasy e una mirabolante sapienza tessile e di costruzione perfetta sui nuovi corpi dei trentenni ricchi (specie USA, dove il marchio sta crescendo in modo massiccio). Ed è comunque inverno anche qui, nonostante i dati ormai consolidati delle temperature del 2023.A Parigi, il vecchio caro Dries Van Noten imbrocca una delle sue collezioni più belle – abiti spesso “spezzati” e diciamo cappotti – nella tradizione di un cromatismo pittorico che già andò in mostra al museo Les Arts Décoratufs a Parigi dieci anni fa. Ci si vestirà bene, in un modo o nell’altro. O almeno sfacciatamente ricchi, spacconi, senza tanti penzieri. È questa la leggerezza – ma bella pesante e solida, commercialmente – della seconda serie di Pharrell Williams da Louis Vuitton, che proprio sul western all’italiana (che fu smaccatamente politico) agisce con un’inversione di senso: è una storia afroamericana e nativoamericana che va riscritta.Tutto qui. E il dopolavoro per stra-neonababbi giovanissimi prende corpo dando una mano di colore agli accessori e distorcendo di nuovo il sacro logo con roba da “Drive In”, Pharrell strappa definitivamente la maison fuori da ogni origine parigina o europea (senile, oramai), se ne fotte. C’è solo JW Anderson a portare avanti la possibilità di una politica della moda che possa fare un balzo in avanti verso un vivere seriamente differente: non tanto con la sua propria linea (coi ragazzi che sfilano in collant, ok…) ma con un’altra collezione straordinaria per Loewe, libera come la cintura aperta dei jeans con la fibbia che penzola post battuage o i pantaloni di pelle nera ovunque e a petto nudo, le felpe-panciere sfinite dalle droghe, i cattivissimi fiocchi strutturali piazzati ovunque o la gioia cromatica delle stampe (risucchiate dall’universo figurativo del grande pittore americano Richard Hawkins).Fantascienza contro il regimeTutto perfetto per manifestazioni il sabato contro la destra omofoba che ci schiaccerà tutti come scarafaggi se non facciamo un cazzo, Solo un supereroe rimane in giro, solitario, felice di abitare su un altro pianeta. È Rick Owens che imbrocca un capolavoro sparandoci verso la fantascienza vera, con folli guerrieri dalle nuove gambe a pallone e vite strettissime a clessidra e poi caschi da plotone che davvero potranno vincere le armate che ci stanno venendo contro.Altro che ritorno al formale, svolazzi (anche da Valentino), deboscio chic, in fondo neoconservatore. Certo, c’è la marcia da fine Settanta e melanconie da cantautore con le figure dolenti della collezione comunque colta di Magliano, vista a Firenze. Risuona mammamia De André nella sala e il corteo dei sofferenti però risale la scala all’indietro, sconfitto, mica si fa in avanti verso il nemico. No no no. È il contrario. Abbiamo bisogno di ben altro che completini molli, se dobbiamo vendere cara la pelle.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediCarlo AntonelliGiornalista e direttore artistico italiano.
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