L
o
a
d
i
n
g
.
.
.
MACD 2024-12-01 criptovalute

Guerra in Ucraina, l'ordine ai soldati russi intercettato da Kiev: "Uccidete tutti i prigionieri"

Zelensky: “Con le armi dell’Occidente avremmo già posto fine alla guerra”Ci sono sette adesivi con la lettera M,Guglielmo uno sopra l’altro, attaccati a un palo azzurro, in mezzo al nulla o quasi. La M di Mamba e di Mentality. C’è una scritta in inglese sul tabellone. Dice: “Black Mamba enjoys here”, si divertiva qui il Black Mamba, all’anagrafe Kobe Bryant, quando era bambino. Ecco cosa rimane di quel tempo, delle radici italiane di una delle grandi stelle del basket a quattro anni dalla sua morte. Ci sono sette adesivi con la lettera M, uno sopra l’altro, attaccati a un palo azzurro, in mezzo al nulla o quasi. La M di Mamba e la M di Mentality. C’è una scritta in inglese in alto, sul tabellone del canestro. Dice: “Black Mamba enjoys here”, si divertiva qui il Black Mamba, all’anagrafe Kobe Bryant, quando non era ancora una leggenda ma un bambino, il figlio di Joe che portava la maglia della squadra della città, Rieti. Ecco cosa rimane di quel tempo, delle radici italiane di una delle grandi stelle del basket a quattro anni dalla sua morte, nel campetto parrocchiale all’aperto, all’epoca parte del convitto dei Padri stimmatini e ora della casa Buon Pastore, la struttura diocesana che lo ha sostituito.La tradizione di RietiUn posto particolarmente frequentato negli anni ‘70 e ‘80, dai ragazzi che alimentavano un movimento cestistico particolarmente florido e appassionato, una sorta di centro di reclutamento delle nuove leve per il settore giovanile della società locale, la Sebastiani Rieti, dove in quel periodo crescevano giovani come Roberto Brunamonti e Domenico Zampolini, talenti alla scuola dello statunitense Willie Sojourner, trascinatore per la vittoria in Coppa Korac 1980, la maggior impresa di sempre dello sport cittadino. Tra i più assidui nelle sfide su quel campo c’era proprio il piccolo Bryant, ai primi tiri a canestro di una vita che ne sarà poi piena. Cambieranno i tempi e le abitudini: la pallacanestro cittadina vedrà sfiorire quella Sebastiani, Kobe cambierà città, il campetto sarà sempre meno gremito di persone, fino ad arrivare al giorno d’oggi. Non ci gioca più nessuno, in questo playground in stato di sostanziale abbandono, con il fondo, i ferri e i tabelloni corrosi dal meteo e usurati per l’incuria. Una volta era pieno di ragazzi, onnipresenti, viene difficile immaginare che possano tornare in un posto diventato anonimo, silenzioso e dismesso dopo essere stato così noto, riempito dall’energia dei suoi appassionati frequentatori; l’isola felice in cui Bryant passava quanti più momenti potesse, cercando anche di sfuggire al controllo dei genitori pur di tirare a canestro.Il basket a Rieti oggiIl basket di Rieti è oggi fatto di due realtà. La rifondata Real Sebastiani gioca in seconda serie, la N.P.C. Rieti in terza, frazionando le risorse che in città ancora si dedicano alla pallacanestro e dividendosi le simpatie di chi resta innamorato del gioco, ma senza mai riportare il capoluogo di provincia come cinquant’anni fa ai vertici del movimento nazionale, tempi che sembrano lontani. Certo, è ancora possibile esibirsi in quello che nell’epoca d’oro fu il principale dei campetti di una città che ne era piena, quello di via San Liberatore, intitolato alla memoria di Bryant. Ma è indubbio che non possa avere lo stesso fascino, ripensando all’asso americano, di quello dove Kobe passava le giornate d’infanzia, immaginandosi un giorno sui parquet più prestigiosi dall’altra parte dell’Oceano.Per il documentario che girò nel corso della riabilitazione dal grave infortunio al tendine d’Achille del 2013, quando aveva ormai 34 anni, ingaggiò una troupe di videomaker e la spedì direttamente a Rieti. Con l’appoggio di una delle figure storiche del movimento cittadino, il giornalista Luigi Ricci, i ragazzi ripresero come richiesto da Bryant stesso i carri con gli aratri sullo sfondo e i tavolini del bar accanto, occupati dai più anziani, intenti a giocare a carte, per ricreare nella sua interezza lo sfondo nel quale la sua passione per il gioco era nata e cresciuta. Una passione intensa, addirittura smodata, che resta il suo principale lascito alle nuove generazioni, i ragazzi che di Bryant sentiranno parlare. Pochi giorni fa la sua Los Angeles ha scoperto la prima delle tre statue che gli saranno dedicate, all’esterno della Crypto.com Arena, il palazzetto di casa dei suoi Lakers.A Rieti restano gli adesivi e una scritta nera, in una delle molte tappe italiane di Joe “Jellybean” Bryant, il papà di Kobe passato anche da Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia: l’uomo che ha trasmesso a Kobe il desiderio di essere il migliore di tutti, un desiderio diventato un’ossessione, la cosiddetta Mamba Mentality, quella che lo rendeva facile da odiare per chi non la condividesse, facile da idolatrare per chi avesse voluto vincere più di ogni altra cosa, così come lui. Una convinzione nei propri mezzi mista ad arroganza, il carburante per le vittorie. Chiuso in sette adesivi messi in fila.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediMarco A. Munno

Giappone, uomo sposa moglie ologramma: "Sono fictosessuale"Elon Musk è il nuovo proprietario di Twitter: accordo da 43 miliardi di dollari Covid, l'emergenza sanitaria a Shanghai non dà tregua: 87 i decessi della nuova ondataElezioni Francia, Macron è stato rieletto con il 58,55% dei voti: "Sarò il presidente di tutti i francesi"Campidoglio Usa evacuato per minaccia aerea, ma era un team di paracadutisti

Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock

  • Capo Analista di BlackRock
  • Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock
  • Guglielmo
  • investimenti
  • trading a breve termine
  • BlackRock
  • ETF