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M5s, espulso Gianluigi Paragone: "Ha votato contro le direttive"

Antisemitismo in Italia, Salvini accusa i migranti musulmaniIl libro “Quel che resta del caso Moro” di Stefania Limiti conduce il lettore dentro una vicenda intricata consentendo a chi è giovane di farsi strada in quei meandri e a chi quella vicenda l’ha vissuta direttamente di riorganizzare i ricordi e aggiungervi le ultime acquisizioniDi Aldo Moro,investimenti del suo rapimento, della sua prigionia e del suo assassinio sappiamo tanto, molto; ma non tutto perché non tutto è stato spiegato o ha una giustificazione convincente. Eppure si tratta dell’assassinio politico più importante e più denso di effetti sulla politica dell’Italia repubblicana.«Dopo quasi cinquant’anni, il terzo millennio già avviato, la nostra storia collettiva sembra aver archiviato l’uccisione di Aldo Moro senza averla conosciuta fino in fondo». Questo è l’incipit del libro di Stefania Limiti, Quel che resta del caso Moro, pubblicato da Interlinea e in arrivo in questi giorni in libreria.Con una scrittura chiara, senza dietrologie o senza inseguire teorie complottistiche, Limiti conduce il lettore dentro una vicenda intricata consentendo a chi è giovane di farsi strada in quei meandri e a chi quella vicenda l’ha vissuta direttamente di riorganizzare i ricordi e aggiungervi le ultime acquisizioni maturate nel tempo. CommentiIl rapimento di Aldo Moro è l’ossessione degli «storici da bar»Ostili alla lineaLa trama è intricata e fitta di nomi, di circostanze, di fatti noti e meno noti o sconosciuti. Io cercherò di segnalare alcuni aspetti che a me sembrano essenziali, e nuovi di quanto accadde allora. A partire dal fatto che tra le Br e la Dc ci sia stata una trattativa, mai esplicitamente dichiarata e raccontata, per liberare Moro. Trattativa amaramente fallita.«È un grande buco di conoscenza quello che riguarda il deragliamento della trattativa. Lì si annida il tragico senso della morte di Moro per il paese», è la conclusione di Limiti. Ed è una conclusione drammatica perché Moro voleva vivere, i brigatisti avrebbero voluto liberarlo e la Dc alla fine non riuscì a fare i passi necessari per la liberazione e forse non fu neanche dato il tempo ad Amintore Fanfani di fare le aperture che aveva in mente di fare. Il dramma è tutto qui, e non è poca cosa.Tutto ciò avviene nel pieno della guerra fredda e all’epoca dell’ostilità mostrata da Kissinger in più occasioni alla linea Moro. È un caso che l’inviato degli Usa per dare una mano al governo italiano sia Steve Pieczenick, reclutato da Kissinger nell’èra Nixon?L’uomo interessato alla stabilizzazione della situazione politica italiana che non era più garantita da Moro che guardava al Pci e che per questo solo fatto avrebbe destabilizzato la politica occidentale. Si lasci il prigioniero al suo destino, suggerì il comitato dei saggi di Cossiga. E il destino si compì; come tutti i destini ineludibili.Il memoriale MorucciMa questa storia non la si è mai voluta raccontare perché è prevalsa la trama costruita dal memoriale Morucci che riduce tutto a brigatisti cattivi che hanno voluto uccidere Moro ponendo la Dc di fronte ad una scelta che non aveva alternative.Il fatto è che il memoriale Morucci inventa una storia che fa acqua da tutte le parti, perché la ricostruzione è falsa e soprattutto perché è scritta con la collaborazione o sotto dettatura dei servizi. Il che per un brigatista che fece la scelta della lotta armata contro lo stato delle multinazionali è davvero troppo.Ma c’è una domanda più inquietante. Perché i servizi hanno l’interesse a fabbricare una verità falsa? Chi li spinge a fare quella scelta? A favore di chi? All’epoca dei fatti non lo si sapeva, ma c’è una circostanza significativa: tutti i vertici appartenevano alla P2 e questo spiega tante cose delle difficoltà a investigare con efficacia per scoprire dove era detenuto l’ostaggio. CulturaDelitto Moro, gli atti smentiscono le dietrologie su via CaetaniSilenzi e bugieInfine c’è l’ultima, più inquietante domanda: perché le Br non hanno voluto vincere la partita processando la Dc come avevano sempre detto? Eppure avevano in mano le carte necessarie per farlo, gli originali scritti da Moro e mai ritrovati (chi sa in che mani sono; brigatiste o dei servizi?) ma invece dal campo brigatista arrivarono «troppi silenzi, troppe incongruenze, troppe bugie».L’esito del dopo Moro è noto, prevale nella Dc l’ala di destra che abbandona il rapporto con il Pci e chiude definitivamente quell’esperienza e soprattutto la linea di Moro che cercava di contrastare nel suo stesso partito le forze di destra, reazionarie o fasciste, che dopo il crollo del muro di Berlino e il disfacimento della Dc «agevolò un blocco di destra da allora solidamente alla guida del paese, pur tra brevi interruzioni».© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediEnzo CicontestoricoScrittore, docente e politico italiano, è fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose. Fra i suoi libri, Processo alla 'Ndrangheta (Laterza), 'Ndrangheta padana (Rubbettino) e La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio (Laterza).

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Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock

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