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In Argentina boom di casi e morti: da oggi nuovo lockdown di 9 giorni

Usa, padre e figlio 17enne ricoverati per coaguli dopo il vaccino Covid Pfizer e ModernaIl nuovo numero della newsletter In contraddittorio a cura di Giulia Merlo.  Care lettrici,criptovalute cari lettori, il governo Meloni si è insediato, come anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio: in questa newsletter metto a fuoco la sua prima settimana, le questioni che ha aperto e le possibili contraddizioni con la linea del centrodestra. Parallelamente, è stata una settimana complicata per il Csm, dove impazza il totonomi per i laici e anche il presidente Sergio Mattarella è intervenuto su una decisione controversa del plenum. Anche per gli ordini forensi, però, il momento è delicato: lo scandalo di un buco di oltre un milione di euro all’ordine di Napoli ha sollevato critiche, domande e indignazione nell’avvocatura. Intanto, fuori dall’Italia la guerra in Ucraina non è finita e il diritto rimane un’arma potente anche per interpretare e provare a dare risposte a ciò che si può fare, in futuro. In questo senso va l’analisi del professore emerito della Federico II di Napoli, Giancarlo Guarino, che utilizza gli strumenti del diritto internazionale per rispondere alla domanda: quale pace vogliamo per la Russia e l’Ucraina? Infine, Kaari Mattila, Segretaria Generale della FIDH (Federazione internazionale dei diritti umani) e Elena Crespi, Responsabile del Programma Europa Occidentale alla FIDH analizzano come, nel corso degli ultimi anni, le derive sovraniste degli stati dell’est Europa abbiano messo in pericolo i diritti delle donne e non solo, mettendo in luce il rischio che l’onda si propaghi anche in Italia. La prima settimana del ministro Nordio La prima settimana del ministro della Giustizia, l’ex magistrato Carlo Nordio, è stata già densa di contenuti da analizzare. Lo ho fatto in un focus specifico, in cui esamino le prime scelte e indicazoni del ministro. Lo scontro Meloni-Scarpinato L’esordio in Senato di Roberto Scarpinato, ex magistrato eletto nelle file dei Cinque stelle, ha fatto scalpore per il duro scontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Scarpinato, nel suo intervento, ha attaccato Meloni, dicendo che la riconciliazione nazionale sul tema del fascismo sarà possibile solo «se e quando verrà fatta chiarezza sulle stragi del nazifascismo e verrano esclusi dal vostro pantheon taluni personaggi», facendo riferimento in particolare al neofascismo visto che «lei e la sua parte politica, sino a epoca recentissima, abbiate significativamente eletto a figure di riferimento della vostra attività politica alcuni personaggi che sono stati protagonisti del neofascismo e tra i più strenui nemici della nostra Costituzione». Partendo da queste considerazioni, ha parlato di «viva preoccupazione per la volontà da lei ribadita di mettere mano alla Costituzione per instaurare una Repubblica presidenziale, che in un Paese di democrazia fragile ed incompiuta, potrebbe rivelarsi un abile espediente per una torsione autoritaria». L’accusa pesante – con il filo conduttore dal fascismo, alle stragi neofasciste fino al rischio antidemocratico del presidenzialismo – ha ricevuto una risposta altrettanto dura da parte di Meloni.  «Al senatore Scarpinato dovrei dire che mi dovrei stupire di un approccio così smaccatamente ideologico. Ma mi stupisce fino a un certo punto perchè l'effetto transfert che lei ha fatto tra neofascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico del teorema di parte della magistratura, a cominciare dal depistaggio e dal primo giudizio sulla strage di via d'Amelio. E questo è tutto quello che ho da dire». Questo scontro verbale così acceso andrà ricordato, in vista dei prossimi appuntamenti di dibattito in tema di giustizia. Buco da 1,1 milioni a Napoli L’Ordine degli avvocati di Napoli ha accumulato un debito di 1,1 milioni di euro di tasse, imposte e contributi ai dipendenti non pagati. Le irregolarità fiscali sarebbero iniziate nel 2008 e ora il “buco” è emerso, ma per puro caso. L’ordine, infatti, se ne è accordo perchè avrebbe dovuto incassare dei soldi dal Corecom, il comitato regionale per le comunicazioni, con cui ha una convenzione per le conciliazioni. Tuttavia, l’Agenzia delle entrate ha bloccato il credito di 65 mila euro con un pignoramento, presso il Corecom stesso. Così il presidente del Coa, Antonio Tafuri, è venuto a conoscenza delle irregolarità e le ha esposte ai suoi consiglieri dell’ordine. La questione ha ancora molti lati non chiari, per ora i fatti sono che il direttore dell’ordine – che ha 18 dipendenti e conta 12 mila iscritti – è stato sospeso; l’ordine ha sottoscritto un piano di rateizzo delle cartelle di pagamento con l’Agenzia delle entrate; si stanno scandagliando i vecchi bilanci per scoprire come sia stata possibile una tale irregolarità e soprattutto si valuterà come rientrare dei pagamenti di moltissimi avvocati iscritti all’albo ma morosi del pagamento della quota annuale di iscrizione di 170 euro, a cui l’ordine non ha mai intimato il pagamento. Tuttavia, le domande aperte sono moltissime e dentro il consiglio dell’ordine è in corso uno scontro durissimo. Tre consiglieri, infatti, si sono rivolti con un esposto alla procura della repubblica e alla Corte dei Conti. Tafuri ha scritto una lettera agli iscritti all’ordine, dicendo che «Stiamo completando le opportune verifiche amministrative» e «nonostante le complessità della situazione, sono state tempestivamente adottate le opportune misure, ovvero le regolarizzazione presso Agenzia delle Entrate e Inps, al fine di ripristinare l'ordinaria amministrazione dell'Ente». Conclude affermando che «Non appena esaurita questa prima fase di verifiche il Consiglio, parte lesa in questa vicenda al pari di tutti gli iscritti, procederà a tutelare le proprie ragioni in ogni sede competente». Molti interrogativi, però, rimangono: a partire dal fatto che nessuno, all’interno dell’ordine e nel suo ufficio di presidenza, abbia mai notato le difficoltà di bilancio, chi fosse a conoscenza dei solleciti di pagamento che negli anni sono arrivati e come mai, a fronte delle difficoltà a far fronte alle spese, non si sia mai intervenuti contro i legali morosi che non versavano la quota di iscrizione. Nomine dei vertici di Ocf (tutti uomini) In seguito al congresso nazionale forense di Lecce, si è costituita la nuova assemblea dell’Organismo congressuale forense e sono stati eletti i suoi nuovi vertici. L’avvocato Mario Scialla è il nuovo Coordinatore, affiancato dal segretario Accursio Gallo e dal tesoriere Antonino La Lumia. Dell’ufficio di coordinamento fanno parte anche Monica Aste, Alessandra Dalla Bona, Pasquale Parisi e Stefano Tedeschi. Il coordinatore Scialla è intervenuto per commentare le prime prese di posizione del ministro Nordio, definendo «condivisibili» le indicazioni programmatiche in materia di depenalizzazione e abolizione di alcune parti del codice Rocco. «La realizzazione di un diritto penale minimo, infatti, è da decenni indicata come esigenza ineludibile ma si è purtroppo scontrata, negli ultimi anni, con un incremento di logiche securitarie, emergenziali e populiste». Mattarella e il Csm Il capo dello stato e presidente del Csm, Sergio Mattarella, ha inviato una lettera al Consiglio superiore della magistratura – che sta agendo in regime di prorogatio – mettendolo in guardia dall’approvazine di una nuova circolare in materia di valutazioni di professionalità delle toghe, senza tener presente i contenuti della legge delega di riforma dell’Ordinamento giudiziario, approvata dal governo Draghi ma che ancora manca dei decreti attuativi. In particolare, mancava qualsiasi riferimento al “fascicolo per la valutazione del magistrato”, che tante polemiche aveva generato in fase di approvazione in parlamento. «l’Assemblea plenaria avrà modo di esaminare i contenuti della proposta confrontandosi con i principi dettati in materia dalle norme di delega di cui alla legge 71 del 17 giugno 2022», si legge nella missiva di Mattarella. A far sorgere il caso, anche il fatto che il plenum abbia preso una iniziativa – per quanto bocciata – pur essendo in regime di prorogatio e con i nuovi togati già eletti, con una sorta di fuga in avanti fuori tempo massimo. I procuratori contro la riforma Cartabia I 26 procuratori generali hanno firmato una lettera, che è stata inviata il 25 ottobre al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al procuratore generale della Cassazione e al Csm in merito all'entrata in vigore della riforma Cartabia. Nella lettera si osserva che la nuova disciplina penale che enterà in vigore il 1 novembre introduce una serie di modifiche e di adempimenti procedurali che richiedono dotazioni informatiche adeguate che in questo momento sono carenti. Questi adempimenti stanno mandando nel caos gli uffici delle procure, non attrezzati in modo sufficiente e quindi non in grado di adempiere senza un tempo “cuscinetto” per adattarsi alle novità e per avere risposte ai dubbi. Uno su tutti: le disposizioni sulle udienze filtro e sul deposito degli atti si applicano ai vecchi fascicoli? Il rischio è che ogni procura adotti la sua interpretazione, con il rischio di una applicazione differente della riforma a seconda della procura. Per questo, i magistrati hanno chiesto di aprire una discussione su tre questioni: «possibili interventi normativi per il coordinamento tra il vecchio e il nuovo sistema»; «valutare l'esigenza di una disciplina transitoria per alcuni aspetti relativi alla tempistica»; «impostare i possibili sviluppi strutturali di maggiore respiro». Anche gli eletti nella gec dell’Anm di Articolo 101 si uniscono ai dubbi dei procuratori generali, lanciando un appello al governo e al ministro e chiedendo anche all’Anm di intervenire. Senza un intervento, scrivono, «non solo il caos interpretativo la farà da padrone ma la riforma resterà inevitabilmente sulla carta, ridotta, nella sostanza, a puro e pericoloso burocratismo, a tutto danno delle funzioni essenziali di effettiva garanzia e di reale accertamento proprie del procedimento penale». Articolo 101 contro l’Anm Un durissimo comunicato degli eletti nel comitato direttivo centrale dell’Anm di Articolo 101 è arrivato contro il 35mo congresso nazionale l’Anm, che si è svolto tra il 14 e il 16 ottobre. In particolare, la critica riguarda la «cortina di ferro calata sui procedimenti disciplinari endoassociativi senza tenere conto dell’interesse dei colleghi e, in generale, dell’opinione pubblica, ad essere informati al riguardo». Secondo Articolo 101, «l’associazione non ha suggerito alcun concreto rimedio capace di evitare il ripetersi dei fenomeni degenerativi del correntismo e del carrierismo». E conclude attaccando l’Anm: «il congresso ingrana addirittura la retromarcia ed ha tutti i titoli per essere ricordato come il Congresso di Vienna della Magistratura italiana». I laici del Csm Il Transatlantico, lungo corridoio antistante l’aula di Montecitorio, è una fiera delle vanità in cui rimbalzano le voci più varie e la giustizia è tornata argomento di conversazione. Gli occhi di tutti guardano in due direzioni: via Arenula e palazzo dei Marescialli. Attualmente, rimbalzano alcuni nomi. Il più gettonato non solo per il ruolo di consigliere laico ma anche di vicepresidente, sul fronte di centrodestra, è quello dell’avvocato Giuseppe Valentino.  Penalista calabrese, ex senatore e presidente della fondazione Alleanza nazionale, sarebbe lui l’uomo in grado di ottenere il gradimento dei togati e raggiungere i 18 voti che normalmente servono per l’elezione del vicepresidente. Anche il Partito democratico si sta muovendo e riflette sul fatto che, per mantenere la vicepresidenza grazie ai voti dei consiglieri togati, la strada più intelligente è quella di puntare su un nome tecnico, che possa piacere anche ai magistrati moderati.  Uno dei nomi anticipati sarebbe quello dell’ex ministra, Marta Cartabia, che però sembra decisa a sfilarsi. Per questo, il Pd è alla ricerca di un altro nome tecnico che possa anche vincere le resistenze di Mi, che ha portato avanti una campagna elettorale per i togati criticando in modo puntuale la riforma dell’ex guardasigilli. Infine, continua ad essere sul tavolo, come ipotesi di scuola, il nome di Francesco Paolo Sisto, che potrebbe contare su un sostegno trasversale e sull’apprezzamento sia di magistratura che di avvocatura. Lui, però, sembra ormai proiettato più verso il ruolo di viceministro alla Giustizia, a via Arenula insieme a Carlo Nordio. Il problema della seduta comune Tuttavia, proprio la riforma Cartabia rischia di trasformare il voto per i laici nella prima grana per il presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Il radicale Riccardo Magi ha inviato una lettera in cui ricorda che spetta a Montecitorio dare applicazione alla norma della riforma che fissa principi di trasparenza nelle procedute di candidatura e selezione dei candidati laici, nel rispetto della parità di genere. Queste procedure vanno fissate prima del voto e Fontana deve farsene garante, ricorda Magi, «per ciò che attiene le procedure di candidatura», magari con la presentazione di un curriculum, e per «individuare un metodo di voto che garantisca la parità di genere nell’esito». Tradotto: i laici dovrebbero essere cinque uomini e cinque donne, e già questo pone una questione politica non secondaria che, insieme all’individuazione di norme di trasparenza, potrebbe ritardare ulteriormente la scelta. I penalisti contro la “lotteria” dei giudici L’Unione delle Camere penali ha proclamato un nuovo stato di agitazione, per protestare contro «la costante violazione del diritto ad essere giudicati dallo stesso giudice che ha raccolto la prova». I penalisti, infatti, sostengono che deve essere fatto valere il principio per il quale qualunque trasferimento del giudice, per ragioni diverse dalla urgenza, possa avere luogo solo quando il giudice abbia smaltito il proprio ruolo di udienze, «almeno con riguardo a quelle la cui istruttoria si sia già svolta nelle sue cadenze più significative».  Per questo, la Camera penale di Roma ha indetto per mercoledì 2 novembre una giornata di astensione dalle udienze. Si è infatti verificato che, in un importante processo penale con più imputati, il collegio giudicante sia cambiato nella sua composizione quasi ad ogni udienza, lasciando immutato solo il presidente. «In sostanza, in 15 udienze si sono avvicendati complessivamente 16 giudici diversi», lamenta la Camera penale di Roma. Il salone della giustizia Si è svolto questa settimana, a Roma, il Salone della Giustizia, appuntamento di tre giorni ormai fisso per discutere dei temi relativi all’ordinamento, ma con un occhio attento anche alla politica. Qui è possibile recuperare tutti di dibattiti e i faccia a faccia, con esponenti sia della nuova maggioranza di governo che dell’opposizione. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

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