Chiamami con il mio nome: storia di Alessandro e delle sue conquisteAlessia Pifferi,analisi tecnica la donna di 38 anni condannata in primo grado all'ergastolo per aver abbandonato a casa per cinque giorni e mezzo la piccola Diana, morta "di stenti e disidratazione", è stata animata da un "futile ed egoistico movente", ossia "regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine settimana con il proprio compagno, rispetto al prioritario diritto/dovere di accudire la figlioletta" di un anno e mezzo. Lo scrive la Corte d'Assise di Milano nelle motivazioni della sentenza dello scorso 13 maggio.Nelle motivazioni, di circa 50 pagine, si ripercorre la morte della piccola. Abbandonata in un appartamento di via Parea a Milano nel pomeriggio del 14 luglio del 2022, la bimba fu trovata senza vita il 20 luglio in un lettino da campeggio, con a fianco solo un biberon e una bottiglietta d'acqua vuoti.Una morte che, svela l'autopsia, è avvenuta tra il pomeriggio del 18 luglio e la mattina del 20, in un quadro di "disidratazione spiccato". Nell'appartamento, per dare un'idea della situazione, nel frigorifero e nella dispensa nessun segno di pappe e di altri "alimenti per bambini", mentre in sala, in un borsone e in un trolley, sono stati trovati molti abiti, circa una trentina, prevalentemente da sera.Per i giudici che hanno stabilito la condanna all'ergastolo, Alessia Pifferi ha commesso un reato di "elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale". La donna in aula ha tenuto un atteggiamento caratterizzato da "deresponsabilizzazione", accampando "circostanze oggettivamente e scientemente false", accusando il compagno di "essere stato l'artefice 'morale' dell'accaduto". Sintomi di una "carente rielaborazione critica".Si legge ancora: "Non perdeva occasione l'imputata, nel corso del suo esame dibattimentale, per sottolineare come lui non accettasse la presenza di Diana e come la bambina per lui fosse 'un intralcio', come proprio a seguito di un litigio con l'uomo, che l'aveva anche intimorita, avesse desistito dal proposito di rientrare a casa lunedì 18 luglio". La realtà processuale è diversa e ai giudici mostra una donna capace di mentire e di lasciare sola, per quasi sei giorni, la figlia Diana.Omicidio volontario aggravato dai futili motivi"Nel caso di specie deve attribuirsi alla Pifferi, con ragionevole certezza, la concreta previsione dell'evento morte della figlia, benché accadimento non intenzionalmente e direttamente voluto", spiegano i giudici che l'hanno condannata per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, ma non premeditato. "Pifferi, per sua stessa ammissione, aveva certamente coscienza e volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità della stessa per Diana, tanto da mentire alla madre e allo stesso compagno su dove si trovasse la bambina: riferiva alla madre di averla portata con sé, mentre riferiva al compagno che la bambina si trovava al mare dalla sorella".
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