Tre sì alle missioni internazionali, opposizioni unite (o quasi)Dopo mesi di preparativi,élUnioneeuropea èinvestimenti la prossima settimana i leader mondiali si incontreranno a Glasgow per la Cop26. Questo incontro è preceduto da segnali importanti da parte di paesi precedentemente scettici sulle questioni climatiche, che stanno ora prendendo il riscaldamento globale più seriamente. Ma, come inevitabile, la Cop26 non fornirà percorsi definiti per le riduzioni di emissioni da realizzare durante il prossimo decennio. La leadership europea sul clima entrerà in gioco dopo che i leader saranno tornati a casa propria, attraverso l’intera gamma dei suoi strumenti utili a un riequilibrio geopolitico durante la transizione dal carbonio. Dopo mesi di preparativi, la prossima settimana i leader mondiali si incontreranno a Glasgow per la Cop26. Questo incontro è preceduto da segnali importanti da parte di paesi precedentemente scettici sulle questioni climatiche, che stanno ora prendendo il riscaldamento globale più seriamente. All’assemblea generale Onu, Xi Jinping ha promesso che la Cina smetterà di finanziare nuovi impianti a carbone all’estero, anche se i continui blackout di ottobre hanno messo in discussione la tabella di marcia cinese per porre fine all’uso del carbone. A ottobre, il parlamento turco ha ratificato l’accordo di Parigi. A livello globale, il panico per l’impennata dei prezzi di gas, petrolio ed elettricità, seppur non legata agli sforzi di decarbonizzazione, ha evidenziato la necessità di una sicurezza energetica reale e sostenibile. Ma, come inevitabile, la Cop26 non fornirà percorsi definiti per le riduzioni di emissioni da realizzare durante il prossimo decennio. Una delle ragioni è che, nonostante gli Stati Uniti si siano reimpegnati a livello internazionale con l’amministrazione Biden e stiano spingendo altri stati sulla via della decarbonizzazione, non c’è un programma chiaro da parte di Washington sulla trasformazione dell’economia americana. Affinché il suo bilancio sia approvato dal Congresso, nelle ultime settimane Biden starebbe ridimensionando anche il suo già cautamente ambizioso programma per l’energia pulita. Perché altri attori dovrebbero muoversi per primi accettando rischi per la competitività delle proprie industrie, quando chi produce più emissioni al mondo non ha ancora messo a punto la propria? Il ruolo dell’Europa Dopo Glasgow, è probabile che ci troveremo ancora a fare i conti con un’azione climatica insufficiente, con in più la consapevolezza che l’attuale leadership globale non è in grado di gestirne le sfide politiche e geopolitiche. È qui che l’Unione europea entrerà in gioco, come facilitatore di un graduale grand bargain verde. L’Ue è il primo attore globale ad aver definito piani concreti per la riduzione delle emissioni nette di gas serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990; insieme al Green deal europeo e al pacchetto Fit for 55, ciò fa sì che l’Ue abbia guadagnato credibilità rispetto agli Usa. Più avanti nella transizione rispetto a molti altri, l’Ue è in grado di dare l’esempio, condividere e promuovere le proprie esperienze. È un’economia avanzata, un donatore e un mercato di esportazione, oltre che una superpotenza normativa, e può offrire un’esperienza infrastrutturale essenziale per la transizione dal carbonio. L’Ue non è ancora una potenza geopolitica a livello degli Usa, in grado di rafforzare la propria posizione negoziale alla Cop26 minacciando di usare in toto il proprio potere economico. Le divisioni all’interno dell’Ue sono ben note sia ai leader delle stesse istituzioni europee incaricate di partecipare ai colloqui sul clima, sia ai governi di paesi terzi. Il potere dell’Ue sul clima riguarda invece la capacità di realizzare il cambiamento attraverso le interazioni con altri paesi – sia quelli convinti della necessità di trasformare urgentemente le proprie economie, sia quelli che lo sono meno. Ciò significa far sì, attraverso strumenti commerciali come il Carbon Border Adjustment Mechanism, che per esportare nell’Ue i partner commerciali abbandonino la produzione ad alta intensità di carbonio. Inoltre, attraverso lo sviluppo di tecnologie e innovazione green, e sostenendo le catene di approvvigionamento per le materie prime essenziali, l’Ue può assicurarsi che non sia solo la Cina a definire lo sviluppo delle tecnologie necessarie per una rivoluzione globale. Può inoltre offrire finanziamenti verdi e far leva sugli investimenti nel settore privato perché il mondo in via di sviluppo possa trarre vantaggio dalla rivoluzione green. Un altro passo è la riformulazione del concetto di sicurezza energetica, focalizzandosi sull’energia pulita e l’efficienza delle risorse. Infine, un’esplorazione delle riforme del mercato dell’energia che promuovano lo sviluppo del settore delle rinnovabili. L’Ue può sostenere la presidenza britannica della Cop e altri leader globali come gli Usa nel sottolineare la necessità di un’azione sul clima a Glasgow. Ma la leadership europea sul clima entrerà in gioco dopo che i leader saranno tornati a casa propria, attraverso l’intera gamma dei suoi strumenti utili a un riequilibrio geopolitico durante la transizione dal carbonio. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediSusi Dennison Susi Dennison è direttrice del programma European Power di ECFR
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